Com’era la vita a Giussano in epoca medievale? Te lo racconto in questo articolo, in cui si parla anche di alcuni divieti bizzarri che vigevano a quei tempi: per esempio, era proibito vendere castagne non estratte dai ricci a chi non avesse prestato un particolare giuramento. Leggi il resto del post per saperne di più!
Tutto quello che ti serve sapere
Giussano e il Monastero Maggiore di Milano
Nel XIII secolo, il territorio di Giussano era di proprietà del Monastero Maggiore di Milano.
Il monastero a Milano occupava un’area molto grande, corrispondente più o meno a quella dell’attuale Università Cattolica, tra via Magenta, via Nirone e via Santa Valeria.
Vi abitavano non solo le monache, ma anche le sorelle converse, che si occupavano dei lavori di servizio, e laici che lavoravano come fabbri, panettieri e notai.
Gli interessi del monastero non erano curati direttamente dalla badessa ma da procuratori, che risiedevano a Milano e che solo di rado andavano in visita nei feudi gestiti; molto più spesso erano i nunzi a recarsi sul posto per radunare il popolo e leggere le ingiunzioni della badessa e i decreti alle comunità.
Gli addetti alla raccolta dei tributi feudali e dei canoni di affitto erano, invece, i gastaldi.
Nel 1210, il monastero vendette i feudi giussanesi (insieme a quelli di Cermenate, Brenna, Arosio, Mariano, Pozzolo e Bigoncio) alla famiglia dei da Giussano, a un prezzo di 4.510 lire.
Già quattro anni più tardi, però, queste terre ritornarono – per una cifra di sole 510 lire – di proprietà del monastero, che risultava ancora creditore di 4.000 lire.
I da Giussano erano insolventi? Non lo sappiamo: magari, più semplicemente, non erano stati in grado di gestire il territorio.
Al tempo, l’ordinamento comunale prevedeva due libere associazioni di individui: da una parte i nobiles, dall’altra il comune vicinorum.
Quest’ultimo era il comune principale, e rappresentava la plebe.
I suoi portavoce erano i consoli, che venivano eletti dalla badessa del Monastero Maggiore. Di solito erano due o quattro, e a volte potevano essere scelti anche da un nucleo di elettori o dalla comunità: a patto, però, che ci fosse il placet della badessa, che aveva sempre l’ultima parola rispetto alla possibilità di convalidare o annullare l’elezione.
I consoli avevano l’incarico di convocare due volte al mese l’adunanza comunale, in presenza della quale dovevano illustrare quali spese erano state sostenute.
Come racconta Giorgio Giorgetti nel libro Giussano. La storia e il presente, il podestà giungeva in paese tre volte all’anno, al fine di riscuotere le multe: per i reati minori, il banno (cioè la multa) veniva diviso a metà tra il comune e la badessa; per gli altri reati, invece, il denaro finiva interamente al monastero.
Frequentare le taverne? Era un reato!
Si commetteva un reato, fra l’altro, se:
- non ci si presentava alle riunioni comunali;
- si eleggevano i consoli senza il consenso della badessa;
- si ospitavano consapevolmente meretrici;
- si frequentavano le taverne.
Per questi reati (e per altri più comuni, come il furto o l’omicidio), la multa era di 60 soldi.
Erano dovuti 5 soldi, invece, nel caso in cui si venisse sorpresi a raccogliere la legna su terreni altrui o a portare fusti da vendere al di fuori dei confini comunali.
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All’epoca, inoltre, molti banni erano legati al cosiddetto giuramento del salvamentum loci: sotto giuramento, ci si impegnava a salvaguardare qualunque bene del territorio comunale, a prescindere dal fatto che fosse di proprietà plebea o nobile.
Questo giuramento era obbligatorio: chi ospitava persone che non lo avessero effettuato doveva pagare una multa di 5 soldi.
Il divieto di vendere castagne
Sussisteva perfino il divieto di vendere castagne non ancora estratte dal riccio a coloro che non avevano prestato giuramento.
Il pascolo su terreno altrui esponeva al rischio di una multa di un soldo nel caso di maiali, montoni e pecore, e di due soldi nel caso di cavalli, asini, mucche e buoi.
Era vietato anche cuocere pane di frumento per venderlo.
Che cosa si coltivava a Giussano
La popolazione più umile consumava soprattutto pane di miglio o di panìco, o al massimo realizzato con una mistura di segale, frumento e farine intere con la crusca.
In epoca medievale, infatti, sul territorio giussanese si coltivavano il miglio, la segale e il frumento, oltre alle fave.
Nei tanti boschi del circondario si raccoglievano le castagne, e una coltura molto diffusa era la vite.
L’affitto a livello consentiva ai contadini di usufruire in maniera permanente di un terreno avuto in affitto e che poteva essere trasmesso agli eredi in virtù del diritto consuetudinario germanico.
Nessun contadino, in sostanza, rischiava di dover lasciare la terra che lavorava.
Niente festa per la semina delle rape
La vita quotidiana a Giussano ai tempi del vincolo al Monastero Maggiore prevedeva poi che il riposo festivo fosse concesso durante le feste comandate e nei giorni in cui si celebravano San Giovanni Battista e i Santi Apostoli.
I consoli, però, potevano applicare delle eccezioni per la semina delle rape e del miglio, per la vendemmia, per l’aratura con i buoi e per il trasporto del concime.
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