Entrando a Biassono nel Museo Civico Carlo Verri ti sembrerà di essere catapultato in un’altra epoca: anzi, in mille altre epoche, perché quello che ti aspetta è un viaggio nel tempo che parte da migliaia di anni fa arrivando al XX secolo. Vorresti saperne di più? Leggi il resto di questo post e scoprirai tutto!
Tutto quello che ti serve sapere
Biassono, Museo Civico Carlo Verri: che cos’è
Il Museo Civico Carlo Verri di Biassono è un museo fondato nel 1977 su iniziativa del Gruppo di Ricerche Archeostoriche del Lambro, in seguito a importanti ritrovamenti archeologici avvenuti nella zona.
Al suo interno ti attendono collezioni numismatiche, archeologiche, preistoriche ed etnografiche. Così, avrai la possibilità di vedere da vicino:
- attrezzi agricoli;
- costumi tradizionali locali;
- oggetti di cultura popolare;
- monete di epoca romana;
- reperti dell’antico Egitto;
- e molto, molto altro ancora.
Il tutto accompagnato da pannelli didattici che ti spiegano in maniera chiara e approfondita ogni dettaglio di quel che stai vedendo.
Sei pronto a entrare nel museo con me?
Museo di Biassono: gli spazi all’aperto
Il museo è allestito nel cortile e nei locali dell’antica Cascina Cossa, una cascina rurale del Quattrocento trasformata, in seguito, nell’abitazione del fattore dei Conti Verri.
Davanti all’ingresso del museo è collocato un frantoio per l’estrazione di olio da semi di lino e di ravizzone, di epoca sette-ottocentesca. Il frantoio, realizzato con macine in ceppo della valle del Lambro e denti in legno di robinia, in origine era mosso dall’energia idraulica ricavata dalle acque del Lambro.
Superato l’arco di ingresso, ti trovi nel cortile del museo. Alla tua destra, la riproduzione di un angolo di osteria del passato: La Taberna De la Cazia.
Devi sapere, infatti, che proprio i locali di Cascina Cossa nel Quattrocento accoglievano un hospitium, un ostello collocato lungo la strada che univa Milano con Monza: si chiamava, appunto, Taberna de la Cazia, cioè Taverna della Caccia. La struttura comprendeva, oltre alle camere, un forno, un pozzo, una corte e una cantina sotterranea.
Dopo vari passaggi di proprietà, nel 1737 furono i Verri a entrare in possesso dell’osteria, che all’epoca era formata da una bottega con cucina, un forno, una corte con “portighetto” e una cantina. Si pensa che l’attività sia proseguita fino ai primi anni del XX secolo, quando le proprietà Verri vennero alienate.
Molto interessante è il pannello dedicato all’attività venatoria che si svolgeva a Biassono nei secoli passati. I grandi proprietari terrieri e i nobili si dedicavano alla caccia non solo per esigenze alimentari, ma anche per svago personale; i popolani e i contadini, si concentravano soprattutto su uccelli di piccola taglia o comunque animali non troppo grandi, visto che non disponevano di attrezzature specifiche o armi.
Nel cortile è esposta la Collezione Graziano Sbragion, una serie di strumenti di lavoro moderni e antichi donati da Graziano Sbragion e dalla moglie Maria Taibi.
Puoi osservare, inoltre, diversi frammenti archeologici ed elementi lapidei.
La tua attenzione sarà colpita anche da alcune bottiglie di Sgurbatel, vino che viene prodotto proprio a Biassono. Si tratta di un vino non destinato alla vendita, ma che viene realizzato a partire dal 2014 (le prime piantine sono state messe a dimora nel 2011) su iniziativa dell’amministrazione comunale, a cura del Gruppo Ricerche Archeostoriche del Lambro e dell’Associazione Fiera di San Martino, al fine di perpetuare la tradizione della viticoltura locale.
Lo Sgurbatel è un rosso o rosato di 11 gradi; i 5 filari del vigneto si trovano nei pressi di via Madonna delle Nevi a Biassono. Ah, se te lo stai chiedendo, il nome del vino deriva da Sgurbat (“corvo”), soprannome con cui sono conosciuti i biassonesi.
Museo di Biassono: la sezione etnografica
A questo punto puoi entrare nei locali interni del museo civico di Biassono.
Alla tua destra, noterai alcune armi risalenti alle Cinque Giornate di Milano del 1848:
- sciabole sabaude;
- sciabole da ufficiale di fanteria austriaca;
- un archibugio da caccia;
- fucili militari ad avancarica con baionetta e bacchetta di carica.
Davanti a te, invece, vedi una riproduzione di un tipico costume brianzolo femminile. Accanto, sono esposte due sperade in vero argento, ornamento caratteristico delle donne lombarde.
I genitori regalavano il primo spillone della sperada alla figlia diventata signorina. A quel punto la ragazza era già in età da marito; una volta trovato un fidanzato, riceveva da lui gli spadit o spazzaorecc, degli spilloni. Il loro numero dipendeva dall’età della ragazza: se aveva 17 anni, per esempio, otteneva 17 spadine, sempre che il pretendente avesse la disponibilità economica per acquistarle. Dopodiché, ad ogni anniversario di matrimonio o compleanno si aggiungeva una spadina, fino a un massimo di 47. Se una ragazza era sposata, al centro della raggiera c’era una spadina traforata; se era ancora promessa sposa, la spadina non c’era.
Il lavoro nei campi
Andando a sinistra, dopo aver attraversato uno spazio allestito per le esposizioni temporanee puoi entrare nella sala dedicata al lavoro nei campi.
Di fronte a te, una grande incubatrice di bachi da seta usata in passato dalla famiglia Mellerio (gli antichi proprietari di Villa Mellerio a Gerno di Lesmo).
Aprendola, trovi nella parte superiore le cassettine, separate le une dalle altre da un telaio di listarelle, con riportati i nomi delle famiglie affittuarie che ricevevano le uova dei bachi da seta destinate all’allevamento.
La parte inferiore, invece, era quella che accoglieva la lampada a spirito da cui proveniva il calore; isolata con uno strato di ovatta, conteneva acqua calda nell’intercapedine delle pareti.
In questo locale puoi osservare, tra l’altro, un tagliafoglie, strumento che veniva usato per triturare le foglie del gelso destinate al nutrimento dei bachi da seta. il movimento della lama di taglio azionava in maniera automatica il meccanismo di avanzamento delle foglie.
Ecco, poi, una seminatrice per grano…
… e una selezionatrice per cereali. Grazie a questa macchina era possibile usufruire per il raccolto dei migliori chicchi: cioè di quelli più grossi, e quindi più pesanti. Si trattava di uno strumento che costava molto, e per questo appannaggio unicamente di consorzi e grandi proprietari terrieri. I contadini semplici, invece, non potevano fare altro che selezionare i semi a mano; questo però comportava una minore precisione perché, inevitabilmente, tra i semi rimanevano molte impurità.
La sgraviscia, o sfregasc, era – invece – una sorta di erpice formata con rami intrecciati che serviva per diserbare, per spianare o per interrare le sementi.
Hai l’opportunità di vedere da vicino anche Giorgia, una sgranatrice per il mais formata da uno scivolo che faceva scendere le pannocchie nel punto in cui due dischi in ghisa dentati controrotanti, spinti tramite una manovella, sgranavano i chicchi. Questi, per effetto della forza centrifuga, venivano lanciati in direzione di un condotto di raccolta, mentre i tutoli fuoriuscivano dalla parte inferiore.
Non manca, poi, una sgranatrice manuale per granoturco.
Un altro “gigante” della sala è il ventilabro, necessario per pulire i grani trebbiati. Il ventilatore di questo macchinario produceva una corrente d’aria in cui venivano sparsi i grani. Così, era possibile separare i grani più leggeri e quelli più pesanti, oltre a polvere, pula e sassolini. La polvere, in particolare, era pericolosa perché agevolava la comparsa di muffe, e quindi metteva a repentaglio la conservazione delle sementi.
Ul stee era lo staio, che serviva a misurare le granaglie: uno staio era pari a 18.25 litri. Si tratta di un recipiente di forma cilindrica realizzato in ferro o in legno. Dal fondo, in mezzo, parte un ago, cioè un’asta di ferro che si incrocia con la maniglia, una barra orizzontale a sua volta in ferro che permetteva di colmare lo staio in maniera perfetta, con la giusta rasatura.
Artigianato e antichi mestieri
La sala successiva della sezione etnografica ti propone un salto all’indietro nel tempo fra artigianato e mestieri di una volta.
La ricostruzione della bottega artigiana comprende, fra l’altro:
- punte;
- scalpelli;
- tenaglie;
- pinze;
- martelli;
- incudini.
Interessante anche l’angolo con il bancone da falegname, di cui sono visibili i principali attrezzi di lavoro:
- pialle;
- seghe;
- cacciaviti;
- raspe;
- lime;
- martelli;
- scalpelli.
Non perdere, poi, i diversi arnesi usati dai ciabattini di una volta: oltre al deschetto, ecco l’incudine in ferro sagomato che si usava per battere le tomaie e le suole, ma anche i trincetti destinati al taglio del cuoio. E poi, ancora, tacchi, forbici, aghi e pinze.
Infine, ecco gli strumenti del sarto: anche in questo caso forbici e aghi, insieme con ferri da stiro di varie dimensioni e la macchina da cucire.
La camera da letto e la cucina
Dopo tanto lavoro, è tempo del meritato riposo! Entri, così, in una tipica camera da letto di una volta: la camera di una famiglia benestante, come puoi intuire dalla ricchezza del suo mobilio.
Nelle case contadine, la camera da letto era importante quasi quanto la cucina. In genere, si trovava al piano superiore, proprio sopra la cucina, in modo da esserne riscaldata indirettamente. Genitori e figli dormivano tutti nella stessa camera. L’imbottitura dei materassi poteva essere formata da piume, lana o foglie di granoturco, mentre le lenzuola erano di linone o canapa. Sotto il letto, spesso, si conservavano patate e mele, così che la camera fungeva anche da dispensa. Accanto, il comodino ospitava tutti i medicinali di uso comune: clisteri, magnesia bisurata, olio di ricino e chinino.
Qui si trovava anche la dote, cioè quel che la famiglia della sposa dava, con il matrimonio, allo sposo.
Nell’angolo bagno, puoi osservare il semicupio, che serviva per fare il bagno ed era formato da una lamiera di zinco saldata a stagno. C’è anche la comoda, cioè una sedia dotata di apertura nella parte superiore che fungeva da toilette.
Infine, è il momento della cucina, piena di dettagli che ti stupiranno. Si tratta di una riproduzione che mette insieme oggetti e ricordi di epoche diverse, dalla fine dell’Ottocento alla prima metà del Novecento.
Devi sapere che nelle case di una volta non esisteva il soggiorno, ed era attorno al focolare della cucina che la famiglia si riuniva.
Fissata a una parete, ecco la muschirola, destinata alla conservazione degli alimenti deperibili, con una rete a trama fitta per impedire il passaggio degli insetti.
Imperdibile il pannello dedicato alle ricette di una volta: pane e vino, ul pumià (zuppa con pane ammollato nel latte o nel brodo), la rüssümada e il sugo con carne di corvo.
In un angolo, ecco un’antica ghiacciaia, ben isolata, che veniva usata per la conservazione del ghiaccio per tutto l’inverno.
Al suo fianco, una zangola per la preparazione del burro.
Superata la cucina, scoprirai la sala che accoglie l’orologio meccanico che un tempo si trovava sulla torre comunale di Biassono e una macchina fotografica monumentale.
Ora puoi tornare nell’atrio dove hai visto il costume tradizionale brianzolo per salire al primo piano: lungo la scalinata, sono state affisse immagini dei componenti della famiglia Verri.
Museo di Biassono: il medagliere Alberico Lopiccoli
Giungi, così, al primo piano del Museo Civico Carlo Verri di Biassono, con le sezioni dedicate all’archeologia e alla numismatica.
La sezione archeologica fu la prima del museo, nata grazie ai ritrovamenti avvenuti a Cascina Sant’Andrea nel 1975. Con il tempo, si è ampliata sempre di più. Tutti i materiali di provenienza locale esposti sono lasciati in deposito dalla Soprintendenza Archeologica.
Inizia la tua esplorazione dalla sala del medagliere Alberico Lopiccoli, intitolato all’ex presidente del Gruppo di Ricerche Archeostoriche del Lambro. Qui è esposto il dipinto di Eraldo Moscatelli Il Bambino con Angeli adoranti, olio su tela risalente agli anni ’40 del Novecento.
Il fulcro della sala è il ripostiglio di Biassono. Parentesi con breve spiegazione: in numismatica, il ripostiglio è il luogo in cui, in occasione di demolizioni o scavi, vengono trovate per caso monete antiche che in passato erano state sepolte e non più recuperate.
Il ripostiglio di Biassono fu recuperato in paese nel 1975 e comprende più di 2mila monete, in bronzo e in argento, risalenti al periodo compreso tra l’età di Ottaviano e il 256 dopo Cristo.
Non meno interessante è la collezione delle monete medievali e moderne della Lombardia, con quasi 200 pezzi in rame, argento o oro. Spiccano alcune monete che furono emesse in occasione delle 5 giornate del 1848.
Museo di Biassono: la sezione archeologica
Tornando indietro, attraverserai l’andito con l’esposizione di ciò che fu ritrovato in occasione del rinvenimento della villa romana di Cascina Sant’Andrea: tra l’altro, la copertura di una cisterna monumentale di quasi 2mila anni fa e diversi frammenti in ceramica.
Ora puoi passare nell’altro locale. Due vetrine ospitano manufatti litici del Paleolitico Inferiore e Medio ritrovati in Brianza e in Puglia; ci sono, poi, manufatti in osso dell’Età del Bronzo e dell’Età del Ferro e un palo di palafitta.
La sezione dedicata all’antico Egitto accoglie statuine e amuleti, una maschera dipinta dal coperchio di un sarcofago e un altro frammento di sarcofago.
Accanto, la vetrina della Mesopotamia, con due lucerne e idoli in terracotta di età ellenistica; un’altra vetrina è dedicata, invece, alla cultura appenninica e agli Etruschi.
Non mancano i reperti della Magna Grecia.
Davvero ricca è la sezione delle lucerne, strumenti di illuminazione portatili con una struttura a ciotola e un beccuccio per bloccare lo stoppino. Molte di queste sono lucerne romano-imperiali, usate sia per scopi funzionali che con finalità ludiche e religiose. Le lucerne, a partire dal I secolo avanti Cristo, erano oggetto di una vera e propria produzione in serie, di tipo industriale. La fabbricazione a doppia matrice (una per il disco e una per il fondo) prevedeva che le due parti venissero prodotte in maniera separata l’una rispetto all’altra e poi saldate per la cottura in forno.
Noterai anche una zavorra in piombo di ancora romana risalente al I secolo dopo Cristo. La storia di come questo reperto sia giunto al museo è davvero curiosa: chiedi ai volontari di raccontartela!
Raggiungi, infine, la sezione dedicata all’archeologia locale, con una ricca proposta di reperti ritrovati in Brianza.
La vetrina della necropoli di Verano ti permette di conoscere la storia dei ritrovamenti di alcune tombe avvenuti nella seconda metà degli anni Sessanta. Fu Davide Pace, poco tempo dopo il completamento della superstrada Milano-Lecco, a trovare resti di tombe preziosi.
In località Cascina Gallazza fu ritrovata la cosiddetta tomba del vaso aretino, così denominata per la presenza di una grande coppa in terra sigillata nord-italica in vernice rossa. La vetrina ospita una fusarola (volano usato per filare che, infilato nel fuso, gli conferisce l’energia necessaria a torcere il filo); dalla presenza di questo elemento si è ipotizzato che si potesse trattare di una tomba femminile. Vicino alla tomba fu trovato anche uno specchio in lega metallica nera, prodotto per fusione in uno stampo.
In particolare, il corredo della tomba a cassetta cosiddetta dell’olpe capovolta comprende una moneta di Tiberio, un bicchiere con decorazione impressa e un’olpe piriforme. C’è anche una coppa biansata, recipiente usato per i simposi (la parte dei banchetti destinata alla degustazione dei vini) con decorazione a tema vegetale.
Vicino alla tomba dell’olpe capovolta vennero trovati diversi frammenti ceramici provenienti da corredi di tombe che le ruspe avevano sciaguratamente demolito. C’erano, tra l’altro, patere (piatti), una coppetta a vernice nera e un bicchiere a parete sottili. Una delle patere presenta un’iscrizione in caratteri nord-estruschi sulla parete esterna.
Sempre alla seconda metà degli anni Sessanta risale il ritrovamento della tomba del vaso a trottola (di più di 2mila anni fa, tra il 50 e il 30 avanti Cristo) di Robbiano, frazione di Giussano, in cui già due secoli prima erano state trovate tracce di una villa romana.
I resti di un’altra necropoli romana sono visibili nella vetrina che accoglie i reperti provenienti dalla necropoli a incinerazione Cascina Monzina, trovati nel febbraio del 1883 durante dei lavori agricoli nel Parco di Monza. Inizialmente i reperti vennero conservati in una fattoria del Parco Reale, per poi essere donati nel 1892 dal Re al Museo Patrio di Archeologia di Milano.
La vetrina della Necropoli della Brughiera dei Morti ospita alcuni reperti trovati nel 1912 a Biassono, vicino al confine con Macherio, in corrispondenza dell’attuale via della Brughiera.
Si tratta di frammenti in ferro, bronzo e ceramica di una necropoli golasecchiana: il riferimento è alla cultura di Golasecca, relativa alla prima età del Ferro (IX-IV secolo avanti Cristo), che deve il proprio nome alla località varesotta di Golasecca, sulla sponda orientale del fiume Ticino. Puoi vedere, tra l’altro, un frammento di urna in terracotta della tarda età del Bronzo (tra il XII e il X secolo avanti Cristo) decorata con disegni a denti di lupo e tecnica a cordicella. Altri resti provenienti da questa necropoli sono ospitati al Museo Archeologico di Milano.
Arrivano da una necropoli celtica, invece, i resti della località Cascina Marianna di Biassono, rinvenuti nella primavera del 1966 mentre erano in corso degli scavi in un orto privato per la realizzazione di un pozzo perdente per acque chiare. Ne fanno parte materiali appartenenti a più corredi, databili tra la fine del II e l’inizio del I secolo avanti Cristo. In tutto furono 27 gli oggetti recuperati: quasi tutti in ceramica, e solo 3 in ferro.
Infine, puoi spostarti verso la vetrina con i resti trovati a Capriano di Briosco: c’è un piatto (patera) con vernice nera che faceva parte del corredo di una tomba romana di 2mila anni fa.
Museo di Biassono: la biblioteca
Ma non è ancora tutto, perché a Biassono il museo civico accoglie anche una biblioteca con più di 8mila titoli dedicati all’archeologia, alla numismatica, alla storia locale e alla cultura popolare.
I volumi possono essere consultati sul posto: vale la pena di farlo, anche perché molte delle opere presenti sono di difficile reperibilità nel circuito bibliotecario tradizionale.
Biassono, Museo Civico Carlo Verri: quando è aperto
A Biassono il Museo Civico Carlo Verri è aperto il sabato pomeriggio dalle 15 alle 19, e negli altri giorni su richiesta. Ti consiglio comunque di telefonare prima per sicurezza: puoi chiamare il 334 342 2482 o lo 039 220 1077.
Per ogni altro dettaglio, puoi consultare il ricco sito web del museo, che ti offre molte altre informazioni che non sono riuscito a inserire in questo articolo per motivi di spazio: per esempio quelle relative alla sezione distaccata del museo a Cascina Ca’ Nova e alla sezione “Segno, scrittura e stampa” accanto alla biblioteca.
L’ingresso al museo è gratuito, ma puoi lasciare un’offerta per supportare l’attività dei volontari: direi che se lo meritano!
Biassono, Museo Civico Carlo Verri: come arrivare
A Biassono il Museo Civico Carlo Verri si trova in via San Martino 11.
Se decidi di arrivare a Biassono in auto, puoi trovare parcheggio in piazza Italia o in via San Martino.
Preferisci arrivare a Biassono in autobus? Allora ti conviene utilizzare le linee Z221 o Z234 e scendere alla fermata Cesana e Villa/Verri. Da qui, lasciati i numeri civici pari sulla sinistra e percorri via Cesana e Villa in direzione della Torre dell’Acquedotto. Giunto al semaforo all’incrocio con via San Martino, gira a destra: sei giunto a destinazione.
Volendo arrivare a Biassono e al Museo Civico Carlo Verri in treno, infine, puoi fare riferimento alla stazione di Biassono-Lesmo Parco. Uscito dalla stazione vai a destra, e allo stop del passaggio a livello gira a sinistra in via Parco. Vai sempre dritto: dopo aver superato due rotonde, gira a destra in via Umberto I e percorrila fino in fondo. Quindi gira a destra in via Pietro Verri e prendi la prima traversa sulla sinistra, via San Martino: sei arrivato.
Che cosa vedere a Biassono
A Biassono il Museo Civico Verri è situato nel centro cittadino, vicino a molte altre location che meritano di essere conosciute e ammirare. Vuoi sapere quali? Leggi il post qui sotto, che ti suggerisce che cosa vedere a Biassono (e anche dove puoi fermarti a mangiare).
Spero che questo post dedicato a Biassono e al Museo Civico Carlo Verri ti abbia permesso di scoprire qualcosa di nuovo! Se ti va di supportare la mia attività e a far sì che il progetto di Viaggiare in Brianza continui a rimanere in vita, puoi farlo cliccando qui sopra e lasciandomi una donazione: qualunque sia l’importo, lo apprezzerò.
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