La rivalità esplosa con Cimnago, la fusione con Carimate e la successiva indipendenza, l’immigrazione dei contadini veneti, la tradizione dei chiodi, il barone che diventò sindaco, il parroco morto poche ore dopo aver inaugurato una chiesa: sono solo alcuni dei tanti racconti che trovi in questo articolo dedicato alla storia (e alle storie) di Novedrate.
Tutto quello che ti serve sapere
I primi sindaci di Novedrate
Il primo sindaco di Novedrate fu il conte Carlo Taverna, nel 1860.
Fu in quell’anno, infatti, che gli italiani furono chiamati per la prima volta alle urne per scegliere i propri rappresentanti politici.
Con parecchi limiti, però: il diritto di voto spettava unicamente a chi sapeva scrivere, leggere e far di conto e versava regolarmente le imposte dovute sui propri possedimenti.
Insomma, all’epoca poteva votare più o meno l’1% della popolazione.
Il sindaco, scelto fra i consiglieri comunali, veniva nominato dal re; la sua carica durava tre anni.
Tuttavia a Novedrate già dopo un anno il primo cittadino venne sostituito: al posto del conte Taverna assunse l’incarico l’ingegner Giuseppe Radice.
Non che ci fossero molti altri candidati, a dir la verità, anche a causa del non expedit di papa Pio IX che impediva ai cattolici di partecipare alla vita politica.
Negli anni successivi, altri due Radice ricoprirono il ruolo di sindaco di Novedrate: Carlo, tra il 1890 e il 1899; e Giuseppe Antonio, cioè il “papà” di Villa Luigia (l’elegante dimora che ancora adesso si può ammirare di fronte alla Torretta del Castello Airoldi).
Nel 1905 diventò primo cittadino il marchese Luigi Isimbardi, allora proprietario di quella che attualmente è nota come Villa Casana.
Appoggiato da una lista di cattolici e liberali, Isimbardi aveva come referente politico Giulio Padulli, deputato del Regno la cui casa patrizia si trovava a Cabiate (oggi conosciuta proprio come Villa Padulli).
Padulli si impegnò attivamente, fra l’altro, per la ricostruzione di Novedrate dopo il ciclone del 1910 che causò danni ingenti in paese.
Alla morte di Isimbardi, il suo posto era stato preso da Gaetano Garbagnati, che già faceva parte della giunta comunale.
Arrivò il tempo della campagna di Libia, combattuta tra il 1911 e il 1912. Al termine della guerra, il prefetto chiese alle amministrazioni comunali di trovare lavoro ai militari tornati in patria e di raccogliere fondi per quelli che rimanevano disoccupati.
La risposta del Comune di Novedrate chiariva quale fosse la situazione del paese all’epoca. “Per quanto riguarda la possibilità, in questo piccolo comune agricolo, di adibire qualcuno dei reduci in lavori remunerativi – scriveva il sindaco Garbagnati – sarà impossibile perché qui non vi sono né stabilimenti né impieghi industriali”.
La rivalità tra Novedrate e Cimnago
Sempre nel 1912, esplose in maniera clamorosa la rivalità tra Novedrate e la vicina Cimnago. A quell’epoca i cimnaghesi erano ancora privi di parrocchia, e per questo dovevano dipendere da quella di Novedrate: erano dunque costretti a rispettare regole a cui, per campanilismo, sottostavano malvolentieri.
Erano soprattutto i più giovani a rendersi protagonisti di scaramucce. Così, in occasione del vespro di Natale del 1912, in chiesa un novedratese ostacolò il passo di un ragazzo cimnaghese.
Come ebbe a scrivere il parroco di allora, don Antonio Bernasconi, in breve “dalle parole si passò ai fatti dall’una e dall’altra parte. […] Ma gli animi non si placarono. Anzi, si era sparsa la voce: ‘guai a chi entra nella chiesa di Novedrate! Ne subirà danni nei campi!’”.
Furono perfino poste delle sentinelle a controllare i confini per impedire ai cimnaghesi di raggiungere Novedrate.
In effetti i cimnaghesi – raccontò don Bernasconi – “decisero di non mettere più piede nell’antica parrocchiale” e cominciarono a frequentare la chiesa di Lentate (fino al 1937, anno in cui finalmente sarebbe nata la parrocchia di Cimnago).
Il paese dei chiodi
Il sindaco Garbagnati guidò Novedrate durante la Prima Guerra Mondiale (in cui morirono 22 novedratesi), anche se al termine del conflitto bellico il paese affrontò una fase di instabilità politica.
Complici le condizioni di salute precarie e l’età avanzata, il sindaco si ritirò dalla vita politica, venendo sostituito da Giuseppe Antonio Radice, che già in passato era stato sindaco.
Anche Radice, però, fu obbligato a dimettersi, e così il paese si ritrovò nel disordine più totale, anche perché la situazione finanziaria lasciata in eredità dal segretario Alfiero Bellati era disastrosa.
Come ricorda Felice Asnaghi nel libro Novedrate. Storia ed immagini. Le origini e il Novecento, a complicare le cose contribuirono le spese sanitarie, con l’aumento dello stipendio del medico condotto e i costi da sostenere sia per i militari tornati dal fronte che per l’epidemia di spagnola.
Pur debilitato, Garbagnati ritornò al governo della cosa pubblica, fino alle elezioni del 1920 che videro la nomina a sindaco del 25enne socialista Mario Radice.
Nel frattempo, nel 1912 il diritto di voto era stato ampliato a tutti i cittadini maschi che avessero compiuto 21 anni (senza distinzione di cultura o di censo ma – come si vede – con distinzione di genere).
I sindaci ormai potevano essere eletti dai consigli comunali senza l’intervento del re, mentre il patto Gentiloni del 1913 aveva ufficialmente abolito il non expedit, anche se in realtà già da tempo i cattolici avevano provveduto a organizzarsi politicamente.
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Novedrate intanto diventava famosa come “il paese dei chiodi”, vista la presenza di tantissimi chiodaioli (i ciùdee).
Durante la stagione invernale, infatti, i contadini che non potevano andare nei campi si occupavano di forgiare piccole borchie metalliche e chiodi destinati all’edilizia.
Con il passare degli anni, in tanti scelsero di abbandonare in maniera definitiva l’attività agricola per dedicarsi unicamente alle proprie botteghe di chiodaioli, proprio come accadeva nelle vicine Figino e Cimnago.
I laboratori, ricavati sotto i portici delle stalle, vedevano i chiodaioli lavorare fino a 18 ore al giorno, a fronte di retribuzioni modeste su cui pesava anche il costo del ferro; i prodotti erano destinati soprattutto ai grandi negozi di ferramenta di Milano.
Nel 1919, poi, a Novedrate venne fondata la Lega dei Chiodaioli dei Santi Donato e Carpoforo, che comprendeva circa 150 lavoratori.
La fusione con Carimate
In seguito, con la fascistizzazione dello Stato anche a Novedrate si procedette all’abolizione del consiglio comunale e del sindaco, il cui posto veniva preso da un podestà incaricato di attuare le disposizioni governative: nel luglio del 1926 venne nominato podestà il barone Paolo Airoldi di Robbiate (che era podestà anche di Carimate), mentre Angelo Radice diventava vicepodestà.
L’anno seguente, le autorità governative pretesero dal podestà una relazione a proposito dell’ipotesi di far diventare Novedrate frazione di Carimate, così come era già stato per quattro anni durante il periodo napoleonico.
Nella relazione si evidenziava non solo che Carimate e Novedrate erano già governate dallo stesso podestà (il barone Airoldi), ma anche che fra i due paesi sussisteva un forte squilibrio.
Carimate, infatti, si trovava “in amena posizione” e poteva contare su “alcuni stabilimenti d’opifici industriali”, oltre che sulla “stazione ferroviaria della linea Milano-Como-Chiasso”.
In più, a Carimate passava la “strada più comoda che allaccia Cantù con la provincia Como-Milano” e il “pubblico servizio automobilistico Cantù-Carimate-Cermenate-Saronno”.
Tragica, invece, appariva la situazione per Novedrate, penalizzata da “grande penuria di locali abitabili tanto che alcune famiglie vivono in una ristrettezza veramente impressionante”.
Secondo la relazione, era improbabile che la popolazione del paese potesse aumentare, anche per l’assenza di “comodità di comunicazione”.
Con Regio Decreto del 24 agosto 1928 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia del 15 ottobre dello stesso anno, dunque, i Comuni di Novedrate e Carimate venivano riuniti in un unico Comune con capoluogo Carimate.
La ritrovata autonomia
Non si dovette aspettare molto, comunque, perché la voglia di recuperare l’autonomia perduta facesse capolino nel cuore dei novedratesi.
Nel febbraio del 1946, infatti, la popolazione locale avviò una raccolta di firme per richiedere la ricostituzione di Novedrate in Comune autonomo: la petizione, inviata al sindaco di Carimate Mario Radice, fu sottoscritta da tutti gli abitanti maggiorenni di Novedrate.
Radice si vide costretto a chiedere al proprio vicesindaco Giuseppe Seveso di rivolgersi alle autorità competenti per procedere.
Nella lettera scritta alla regia prefettura di Como, Seveso sottolineava che “la popolazione di Novedrate pur di vedere ricostruito il proprio comune è disposta ad assoggettarsi a qualsiasi onere finanziario”, e che anche i carimatesi erano favorevoli a tale scissione.
Nel 1950, dunque, con la legge n. 113 del 13 marzo pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana (sì, perché nel frattempo si era passati dalla monarchia alla repubblica!) del 5 aprile, Novedrate tornava ad essere Comune autonomo.
Curiosità: con quella stessa legge, veniva soppresso il Comune di Carugo Arosio e si ricostituivano i due Comuni distinti di Carugo e Arosio, esclusa la frazione di Bigoncio.
Dopo poco più di un anno di amministrazione gestita da un commissario prefettizio, nel maggio del 1951 Novedrate tornò a elezioni: la maggioranza assoluta fu ottenuta dal barone Rinaldo Casana (il proprietario di Villa Casana), all’epoca 34enne, alla guida della Democrazia Cristiana.
Egli restò in carica per 15 anni, e per altri 5 anni fu consigliere comunale di opposizione: in occasione delle elezioni amministrative del 1964, infatti, aveva lasciato la DC per presentarsi in una lista civica, l’Unione Cittadina di Novedrate.
Gli immigrati veneti
Nel frattempo il paese iniziava a conoscere l’immigrazione.
Le prime due famiglie venete che si erano stabilite a Novedrate, i Gabrielli e i Colla, erano giunte in paese già nell’immediato dopoguerra, insediandosi in baracche di legno ben distanti dal centro abitato.
Nella seconda metà degli anni Cinquanta, poi, prese vita il villaggio veneto di Novedrate, composto da famiglie contadine provenienti tra l’altro da Motta di Livenza e San Donà di Piave.
Tanti degli uomini giunti a Novedrate in Veneto erano stati mezzadri al servizio di un proprietario terriero, il conte Luigino Ancillotto, che a un certo punto aveva venduto i propri terreni: così i contadini, ritrovatisi improvvisamente senza lavoro, non avevano trovato altra soluzione che lasciare la propria terra per spostarsi in Lombardia, dove le fabbriche e il settore edile avrebbero garantito loro un lavoro sicuro.
Un gruppo di veneti, in particolare, giunse in Brianza dopo aver saputo che alcuni terreni boschivi di Novedrate, in precedenza appartenuti al barone Casana, erano stati messi in vendita dai nuovi proprietari, i medesi fratelli Frigerio.
Acquistati i terreni, iniziò una pacifica invasione di famiglie venete.
I nuovi arrivati lavoravano soprattutto nelle fabbriche di Figino, dedicando le ore serali e quelle della domenica alla costruzione delle abitazioni che avrebbero accolto i loro familiari pronti a ricongiungersi con loro.
All’epoca il villaggio veneto si trovava in aperta campagna, ed era collegato al centro abitato da sentieri difficilmente percorribili, che diventavano fangosi ogni volta che pioveva. Le case, poi, erano ancora prive di illuminazione.
Una nuova ondata migratoria si verificò negli anni Sessanta, dopo l’inondazione del Polesine.
Il 19 marzo del 1966, infine, fu inaugurata la piccola Chiesa di San Giuseppe, la cui costruzione era stata finanziata direttamente dal parroco don Stanislao Zanolli.
Proprio quel giorno, il parroco – al termine delle celebrazioni – fu colpito da infarto fulminante e morì.
Prima di lasciare questa terra, aveva fatto in tempo a vedere la chiesa del villaggio veneto per la cui apertura al culto si era tanto speso.
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