Pier Luigi Marzorati è uno degli sportivi più iconici della Brianza, ma soprattutto uno dei giocatori di basket italiani più importanti di sempre. Da campione affermato (ma anche dopo aver lasciato il campo), non ha mai dimenticato le sue radici, tra Figino Serenza e Cantù: me ne ha parlato nell’intervista che trovi in questo post.
Una medaglia d’argento con la Nazionale alle Olimpiadi di Mosca 1980, due Coppe dei Campioni, due Coppe Intercontinentali, due scudetti, quattro Coppe Korac e quattro Coppe delle Coppe: basta citare la lista di trofei vinti per capire quanto Pier Luigi Marzorati sia stato importante per la storia del basket e dello sport italiani.
Successi raggiunti indossando una maglia sola, quella della Pallacanestro Cantù: testimonianza concreta dell’attaccamento alle proprie radici che ha sempre caratterizzato Pier Luigi.
Nato a Figino Serenza e cresciuto a Cantù (dove vive ancora adesso), Marzorati – forte della sua laurea in ingegneria civile – oggi è titolare dello studio PFM & Partners, che si occupa di ingegneria, architettura ed efficientamento energetico.
Ma ora spazio ai ricordi!
Pier Luigi Marzorati, un brianzolo che più brianzolo non si può.
“Proprio così. Nato il 12 settembre del 1952 a Figino Serenza, e più precisamente a Cascina Castelletto. A scuola andavo a Figino, ma la nostra cascina rientrava nella parrocchia di Montesolaro, quindi all’oratorio andavo a Montesolaro. Poi, quando avevo dieci anni, mio papà ha costruito la nostra nuova casa a Cantù, in via Andina. E così a partire dalla quinta elementare sono andato a scuola a Cantù e ho iniziato a frequentare l’oratorio San Michele (sempre in via Andina, nda)”.
E tra poco ci arriviamo. Ma per ora rimaniamo a Figino Serenza: che cosa ricorda della sua infanzia in cascina?
La cascina di oggi, ovviamente, è diversa da quella di allora. Ai tempi era il classico edificio a ferro di cavallo con in mezzo il cortile, che era il luogo di ritrovo per tutti: di giorno per le merlettaie e di sera per gli uomini che tornavano dal lavoro. In cascina c’erano 10, 15 o 20 famiglie, quindi ti parlo di 80 o 100 persone: una vera e propria comunità, in cui ci si aiutava gli uni con gli altri.
A Figino di cascine storiche ce ne sono ancora molte, per altro.
“Sì, anche se a livello estetico e strutturale sono state tutte rimodernate, non c’è più la classica cascina in mattoni di una volta. Hanno perso un po’ della loro unicità, ma d’altronde è giusto così: oggi il mattone ha lasciato il posto ad altri materiali, anche più efficienti dal punto di vista energetico”.
Com’era la zona di Cascina Castelletto a quei tempi?
“C’erano tantissimi prati, perfetti per noi bambini: si correva in giro, si improvvisavano campi da calcio. Ricordo che a mio papà sarebbe piaciuto che diventassi un ciclista, così quando ero in quarta elementare mi regalò una bici con il manubrio da corsa. Io però quella bici l’ho sempre usata per andare da un oratorio all’altro a giocare a basket”.
Ecco, a dieci anni Pier Luigi arriva a Cantù.
“L’oratorio San Michele aveva il campo di calcio a 5 e il campo di calcio a 11, quindi per me era inevitabile iniziare a giocare a pallone. Alle medie, poi, andavo alla scuola Anzani: come palestra usavamo quella del Palazzetto dello Sport Parini, che ai tempi veniva utilizzata dalla Pallacanestro Cantù. Così ho iniziato ad avvicinarmi al basket, anche perché ci giocavano i miei compagni: per questo frequentavo l’oratorio San Teodoro, che aveva il campo coperto”.
L’inizio di una grande carriera.
“Io ero magro e leggero, ma atleticamente ero dotato, anche perché frequentavo il Grest. Agli inizi ero il più piccolo tra i miei compagni, ma anche il più veloce; quindi giocavo come play, un po’ lontano dal canestro. Poi sono cresciuto, eh! Quando avevo 16 anni abbiamo vinto il Campionato Allievi, e così sono passato agli Juniores”.
“Proprio in quegli anni, tra l’altro, la Pallacanestro Cantù aveva deciso di istituire una sorta di college all’americana (il College Cantù ideato da Aldo Allievi, nda), per reclutare giocatori provenienti da tutta Italia: una struttura dove i ragazzi vivevano, studiavano e si allenavano. Io ovviamente ho continuato a vivere con i miei genitori, abitando a pochi passi dal campo”.
Come avvenne il passaggio alla prima squadra?
“Accadde che Oransoda smise di sponsorizzarla, e così fu necessario vendere qualche ‘big’ per far quadrare i conti. Al posto dei giocatori che erano stati ceduti fummo chiamati io e altri miei compagni della Juniores. Con un tale ridimensionamento della rosa, l’obiettivo era la salvezza; invece contro ogni previsione riuscimmo ad arrivare al sesto posto (era la stagione 1969/70, nda). L’anno dopo salimmo fino alla terza posizione”.
E il resto è storia del basket. Ma nel frattempo c’era anche lo studio di mezzo.
“Sì, perché nel frattempo, finite le superiori, mi ero iscritto al Politecnico. Insomma, quando finivo di giocare non è che andassi a festeggiare o a spassarmela, ma mi mettevo a studiare: un approccio che mi ha sempre aiutato a tenere i piedi per terra”.
Che cosa rappresenta per lei la Brianza?
“La Brianza è un senso di appartenenza. Io mi sento brianzolo, posso essere figinese ma anche canturino. Ogni tanto dico che Cantù sarebbe bella se non ci fossero i canturini, ma è solo una battuta per rimarcare le mie radici figinesi (ride, nda). A parte gli scherzi, in Brianza non ci siamo mai spaventati di fronte alle difficoltà, anzi: le abbiamo sempre trasformate in opportunità. L’operosità è la cifra distintiva del nostro territorio. Qui ci sono economia, artigianalità, imprenditorialità. Anche agricoltura, magari un po’ meno rispetto a prima. Ma quello che conta è che c’è la possibilità di costruirsi un futuro professionale.
Infine, non posso non chiederle qual è il suo luogo preferito in Brianza.
“Non ho bisogno di allontanarmi molto da casa per trovarlo: è la campagna nei dintorni della mia abitazione di adesso, sempre a Cantù. Parto da via Rencati e mi concedo 7 o 8 chilometri di passeggiata fino a Montesolaro. Un luogo magico, soprattutto nel mese di maggio, che è il periodo più bello per la Brianza, con la natura che si sveglia, il canto delle rondini e, di notte, le lucciole che illuminano. Sì, qui ci sono ancora le lucciole”.
Grazie, Pier Luigi!
Hai letto l’intervista a Pier Luigi Marzorati e sei curioso di conoscere da vicino Figino Serenza? Te ne parlo nel post qui sotto (e sì, scoprirai anche com’è Cascina Castelletto oggi).
Se, invece, preferisci regalarti una passeggiata a Cantù, nel post qui sotto ti consiglio che cosa vedere in città, come arrivare e dove mangiare.
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